Ápeiron

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L'ápeiron (in greco antico: ἄπειρον?, ápeiron, composto da ἀ-, a-, «non», e πεῖραρ, peirar, «limite» o «fine»[1], forma ionica di πέρας, peras[2]), il cui significato letterale è «illimitato», «infinito» o «indefinito»[3], rappresenta – secondo la filosofia di Anassimandro – l'archè (ἀρχή), cioè l'origine e il principio costituente dell'universo. Essendo opposto al definito e al determinato, esso genera una realtà infinita, indeterminata, eterna, indistruttibile e in continuo movimento. Secondo Giovanni Semerano, invece, ápeiron deriverebbe dalla parola accadica eperu, che vuol dire "polvere, terra", derivante a sua volta dal lemma biblico 'afar: con questa considerazione il filologo vuole dimostrare come l'«infinito», a cui fa riferimento Anassimandro, abbia una stretta analogia con il concetto cristiano-ebraico del ciclo vitale dell'uomo, definito nella Genesi con la massima "polvere eri e polvere ritornerai".

L'ápeiron secondo Anassimandro

Il concetto di ápeiron fu ideato da Anassimandro, filosofo della scuola di Mileto, il quale concepiva l'ápeiron non come una miscela di elementi, ma piuttosto un'unica materia nella quale i vari elementi non sono ancora distinti. Secondo Anassimandro, quindi, l'ápeiron è una materia indeterminata, oltre che infinita. Questo principio abbraccia e governa ogni cosa che è, e, in questo, tutte le cose che sono hanno origine e si dissolvono secondo una legge cosmica.

La separazione dei contrari

Anassimandro riteneva che in origine tutte le cose fossero armoniosamente unite nell'ápeiron, ma per una colpa originaria, non meglio specificata, e proprio mediante il movimento rotatorio dell'ápeiron stesso, le cose presero a separarsi a coppie di contrari, dando origine al cosmo: così dall'ápeiron uscirono luce e tenebre, notte e giorno, vita e morte. Questa colpa è probabilmente dovuta alla costituzione stessa e quindi alla nascita degli esseri, essersi distaccati dall'ápeiron assumendo un'esistenza individuale[4], dato che nessuno di essi può evitarla e sottrarsi alla pena. È rompere l'armonia originaria dell'àpeiron la colpa del mondo e degli uomini. Infatti con la rottura dell'unità abbiamo la divisione del mondo in contrari. Gli uomini, invece, scontano la colpa originaria vivendo (la vita è intesa come punizione), finché i contrari potranno di nuovo fondersi e tornare indistinti nell'ápeiron.

Origini

Nella Teogonia di Esiodo (VIII-VII secolo a.C.) l'origine (archè) dell'universo è Chaos, la vacuità considerata come condizione divina primordiale. Viene descritto come una grande voragine nella quale sono presenti le sorgenti e le estremità di terra, cielo e Tartaro[5]. Il suo nome può anche significare «abisso», dal momento che non ha fondo. Ferecide di Siro (VI secolo a.C.) identificò Chaos con l'acqua, che non venne tuttavia posta all'origine di ciò che esiste[6].

Nelle storie della creazione del Vicino Oriente, il mondo primordiale è descritto come una realtà informe e vuota. L'unica cosa esistente prima della creazione era un abisso d'acqua. L'opera babilonese Enûma Eliš descrive la prima fase dell'universo come un caos acquatico; qualcosa di simile viene narrato nella Genesi[7]. Nella cosmogonia induista, che è simile a quella vedica (Hiraṇyagarbha), la condizione iniziale dell'universo si caratterizzava come oscurità assoluta.

Esiodo realizzò un'astrazione in quanto il suo Chaos originale è un vuoto, qualcosa di completamente indefinito. Secondo la sua narrazione, l'origine dovrebbe essere indefinita e indeterminata[8]. Nelle sue prime formulazioni, l'indefinitezza attiene al piano spaziale, come in Omero (mare indefinito). Un frammento di Senofane (VI secolo a.C.)[9] mostra la transizione dal caos all'àpeiron:

«The upper limit of earth borders on air. The lower limit reaches down to the unlimited. (i.e. the Apeiron)»

La filosofia greca introdusse un più alto livello di astrazione rendendo l'àpeiron il principio di tutte le cose, tanto che alcuni studiosi colsero la differenza tra l'esistente pensiero mitico e il nuovo modus razionale. Si nota, tuttavia, che non sussiste in realtà una rottura brusca con il modo di pensare precedente. Gli elementi naturali di base (acqua, aria, fuoco e terra), che i primi filosofi greci identificavano come i componenti primi del mondo, rappresentano infatti le forze mitiche primordiali. La collisione di queste forze produsse l'armonia cosmica secondo la cosmogonia greca (Esiodo)[11]. Anassimandro rilevò le reciproche modificazioni tra questi elementi, di conseguenza scelse qualcosa di diverso (l'indefinito in natura) che avrebbe generato il resto senza sperimentare alcun decadimento[12].

Curiosità

Secondo 'Giovanni Maria Semerano, filologo italiano, la traduzione di àpeiron come infinito o indefinito sarebbe frutto di un equivoco millenario. Poiché la parola péras ha una "e" breve, mentre àpeiron ha un dittongo "ei" che si legge come una "e" chiusa lunga, il dittongo non potrebbe essersi prodotto dalla "e" breve di péras. Semerano riconduce invece il termine al semitico 'apar, corrispondente al biblico 'afar e all'accadico eperu, tutti vocaboli che significano "terra". Il noto frammento di Anassimandro, in cui si dice che tutte le cose provengono e ritornano all'àpeiron, non si riferirebbe dunque ad una concezione filosofica dell'infinito, ma ad una concezione di "appartenenza alla terra", che si ritrova nel testo biblico: "polvere sei e polvere ritornerai". L'àpeiron anassimandreo acquisisce così un senso più congruo con quello della tradizione filosofica precedente, riconducibile al suo maestro Talete, che aveva individuato come principio di tutte le cose l'elemento fisico umido, ovvero l'acqua. Al contempo l'interpretazione di àpeiron come indefinito o infinito, cioè come concetto estremamente astratto, fa di Anassimandro un caso eccezionale e singolare tra i presocratici della scuola di Mileto, oltre a lasciare inspiegato come mai il suo allievo e successore Anassimene proponga poi il soffio vitale o pneuma (ossia l'aria) come principio fisico alla base del creato, il che costituisce di fatto una "regressione". Questa interpretazione di Semerano è però largamente rifiutata dalla gran parte della comunità dei filologi, i quali tra l'altro fanno notare come nel dialetto ionico parlato da Anassimandro, di fatto, esistano anche altri casi di alternanza tra il dittongo "ei" e la "e breve", e il termine attico "péras" si scrive appunto "peiras": vedi qui.

Note

  1. ^ (EN) Henry Liddell e Robert Scott, πεῖραρ, in A Greek-English Lexicon, 1940.
  2. ^ (EN) Henry Liddell e Robert Scott, πέρας, in A Greek-English Lexicon, 1940.
  3. ^ (EN) Henry Liddell e Robert Scott, ἄπειρον, in A Greek-English Lexicon, 1940.
  4. ^ Giorgio Colli, La sapienza greca II - Epimenide, Ferecide, Talete, Nico, Dario, Ennio, Anassimandro, Anassimene, Onomacrito. Adelphi, Milano, 1978, p. 30, ISBN 978-88-459-0893-4
  5. ^ The Theogony of Hesiod. Transl. H. G. Evelyn White (1914): 116, 736-744 online[collegamento interrotto]
  6. ^ G. S. Kirk; J. E. Raven; M. Schofield, The Presocratic Philosophers, Cambridge University Press, 2003, p. 57, ISBN 0-521-27455-9.
  7. ^ William Keith Chambers Guthrie, A History of Greek Philosophy, Cambridge University Press, 2000, pp. 58-59, ISBN 0-521-29420-7.
  8. ^ Olof Gigon, Der Ursprung der griechischen Philosophie Von Hesiod bis Parmenides, Basel, Stuttgart, Schwabe, 1968, p. 29.
  9. ^ <DK 21 B 28>
  10. ^ Karl Popper, The world of Parmenides, Routledge, 1998, p. 39.
  11. ^ Claude Mossé, La Grèce archaïque d'Homère à Eschyle, Éd. du Seuil, 1984, p. 235.
  12. ^ Aristotle, Phys. Γ5, 204b 23sq.<DK 12 A 16.>