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Lietta Tornabuoni

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Lietta Tornabuoni

Lietta Tornabuoni (1931 – 2011), giornalista e critica cinematografica italiana.

Citazioni di Lietta Tornabuoni

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Citazioni in ordine temporale.

  • Il fenomeno Veil ha cinquantadue anni, bellissimi occhi verdi, un'eleganza da preside che intimidisce, la serietà un po' quadra di chi vuole soprattutto apparire autorevole, mettere soggezione.[1]
  • Tina Anselmi è una donna molto simpatica. [...] Ha un modo di fare serio, franco e spiccio, concreto, senza untuosa falsamodestia, senza presunzione indisponente. Ha un bel sorriso perenne, una bella faccia chiara. Ha la speciale flemmatica serenità e l'umana comprensione verso tutti che sono le doti del mediatore per vocazione.[2]
  • Vedere i film di Dario Argento è bello come riascoltare (con qualche variante) una favola nera ben nota: sapendo già quando si avrà paura, quando illusoriamente si proverà il sollievo che l'incubo sia finito, quando si sussulterà perché tutto ricomincia, cosa significhino certi segni (la pioggia, la notte, l'agitarsi al vento dei rami degli alberi, l'apparizione di gechi o farfalle, il balenare dell'arma luccicante). Come nelle favole, la consapevolezza non riduce affatto l'emozione. È anzi un piacere che, mentre l'horror americano ha preso strade nuove (la macelleria insignificante, l'ironia o l'umorismo, il misticismo alto, lo pseudorealismo sociologico), Argento sèguiti a percorrere i familiari sentieri della psicoanalisi freudiana, delle parascienze esoteriche, dello spavento puro.[3]
  • [Su Trauma] C'è insomma tutto quel che si può desiderare da una favola nera, con in più un elemento morboso così contemporaneo come l'anoressia, un luogo di terrore così attuale come l'ospedale o la clinica: e, naturalmente, con lo stile ammirevole di Dario Argento.[3]
  • [Su Scent of a Woman] Già è un pastrocchio. Gli americani però non s'accontentano d'un rifacimento: aggiungono una storia parallela etico-scolastico-giovanile alla maniera de «L'attimo fuggente»; inzeppano la vicenda di alberghi e oggetti lussuosi (una suite al Waldorf-Astoria di New York, abiti adattati su misura, pranzi e drink all'Oak Room del Plaza, una Ferrari, un tango danzato nella sala da ballo vuota del Pierre); smussano la vicenda brutale, sciolgono nel patetico o nel declamatorio il personaggio odioso. [...] Gran pastrocchio, per due ore e trentacinque minuti: e tuttavia non ci si annoia. Al Pacino, altre volte così bravo, strafà con un'autoindulgenza e un autocompiacimento insopportabili, ma anche con una virulenza che tiene desta l'attenzione.[4]
  • [Su Proposta indecente] Un film sentimentale sul genere di "Love Story" (e infatti ha già avuto gran successo negli Stati Uniti), basato su uno di quei falsi problemi prediletti dai media (e infatti ha già suscitato in America appassionate discussioni), abilmente realizzato, copiato da altri film, lanciato con una mistificazione pubblicitaria che lo presenta come "scandaloso e torrido": quindi il massimo dell'inautenticità, della manipolazione.[5]
  • [Su Frankenstein di Mary Shelley] Un Frankenstein in più non farà male a nessuno, ma come al solito Bob De Niro è stato bravo a scegliere la parte: la Creatura è sempre stata più simpatica del Creatore.[6]
  • [Su Quattro matrimoni e un funerale] Com'è che piace tanto? Le ipotesi sono varie. Perché, paradossalmente, «la gente non crede più nel matrimonio ma non si arrende a non crederci», dice il sociologo francese Frangois de Singly. Perché al di là della storia d'amore il film (come «Gli amici di Peter» o «Il grande freddo») elegge protagonista il gruppo d'amici, famiglia di elezione, banda solidale che comprende un sordo, una grange, due omosessuali, una chic inzitellita per amore non corrisposto, un aristocratico buffo malato di solitudine. Perché, infine, ignora del tutto ciò che ci angoscia nei Novanta, guerre, crisi economiche, conflitti etnici, Aids, politica brutta, violenza, disoccupazione (i personaggi paiono anzi non avere alcun mestiere né professione, non lavorare affatto): e in nome dell'amore mette insieme il glamour del lusso, il fascino tossico delle tradizioni, il piacere un poco vile dell'oblìo.[7]
  • Bravissimo e cambiato, più composto Benigni ne «Il mostro» è grande, bravissimo, e cambiato. La sua frenesia farsesca corporale e ribalda da piccolo diavolo s'è addolcita in una recitazione da commedia più composta, dalle sfumature surreali, a volte tenere o poetiche [...]. «Il mostro» è costruito meglio di «Piccolo diavolo» o di «Johnny Stecchino» ma come quelli (e del resto come i film di Stanlio e Ollio o di Totò) rimane soprattutto l'insieme d'una serie di «numeri» e di gag molto divertenti, il veicolo (a tratti sfilacciato, privo di ritmo e di regìa) d'un comico straordinario, l'espressione d'un satirico intelligente e senza paura. [...] Metafora e allusioni politiche italiane sono lievi, prive d'ogni pesantezza diretta, assai remote dall'indice puntato della denuncia: un gioco tra l'autore e gli spettatori, che possono anche non cogliere le allusioni o che per riconoscerle debbono metterci complicità e desiderio.[8]
  • Il film fedele al bel romanzo, dai contenuti alti e nobili, con un grande attore, benissimo prodotto (ambientazione, costumi, luoghi sono impeccabili) non arriva a darsi uno stile cinematografico equivalente allo stile romanzesco di Tabucchi, ricorre a caratterizzazioni o a espedienti narrativi primari, rimane a volte inerte. Se si ricorda «Umberto D.» di De Sica, protofilm sulla presa di coscienza d'un vecchio intellettuale solitario, l'interpretazione a tratti imbarazzata di Mastroianni non regge il confronto. Se «Sostiene Pereira» è scolastico, insegna cose essenziali: come riconoscere un regime dittatoriale che non s'instaura con colpi di Stato ma s'insinua sotto l'apparenza della normalità, come identificare certi meccanismi autoritari di cui i cittadini distratti possono non accorgersi e un'autocensura peggiore della censura, come accettare le responsabilità che ognuno porta nella perdita della libertà.[9]
  • Il professor Silvio Orlando, innamorato della professoressa Anna Galiena, è l'unico a preoccuparsi dei ragazzi e d'insegnare: il personaggio esemplare sarà magari un po' santificato (come gli altri sono un po' parodiati), però l'interpretazione è eccellente, toccante e buffa. Naturalmente i toni sono quelli della commedia e non della cronaca vera; naturalmente, con un pizzico di demagogia, i ragazzi della scuola tecnica della periferia romana sono forse più innocenti e meno violenti che nella realtà. Ma «La scuola», nella tradizione aggiornata della commedia italiana, è un film davvero riuscito, ricco pure d'una invenzione poetica terribile: Cardini il fantasma, lo studente sempre assente che non si vede mai ma di cui si parla assai, dotato dell'unico talento di imitare il ronzio e il disperato dibattersi della mosca, il solo a venir bocciato a fine anno, forse il solo artista.[10]
  • [Su La sindrome di Stendhal] A cinquant'anni, Dario Argento s'è un poco addomesticato. Il suo horror classico che si rifà agli spaventi umani archetipici (buio, armi da taglio, prigionia, sangue, insetti, presenze invisibili e minacciose) sembra rimasto indietro rispetto ai vertiginosi, artificiosi, laidi orrori sociali e mistico-paranoici immaginati da film americani come «Seven», ma la sua gran bravura di regista si nutre qui di invenzioni intelligenti ed efficaci.[11]
  • [Su Fargo] Tutto è bello nel film molto riuscito: il rapimento confuso e poi l'abbandono della rapita, buttata sul pavimento come un cane schiacciato sull'autostrada; le esplosioni di violenza, il gangster ferito che cerca di tamponare il sangue con la carta igienica, le uccisioni a colpi di pala in testa, l'avarizia del ricco, le facce dei vinti, lo sguardo affettuoso e spietato dei Coen sulla gente normale.[12]
  • [...] «Auguri professore», primo film diretto da Riccardo Milani, può far riflettere sulla natura di questo genere di gran successo nazionale: non più sarcastica, capace di critica sociale, di cattiveria e di polemica politica, la commedia italiana dei Novanta non dà fastidio a nessuno, risulta piccoloborghese, comicosentimentale, dolceamara, diaristica o espositiva, popolata di protagonisti consapevoli d'una realtà negativa ma remissivi, senza voglia né fiducia di poter cambiare le cose, portati al sorriso faceto più che alla risata liberatoria, all'arrangiarsi più che al battersi.[13]
  • I gelati, un tempo tipico cibo a rappresentare l'Italia nel mondo, adesso sono prodotti americani: anche in Italia. Spaghetti e maccheroni, un tempo cibo tanto diffuso internazionalmente da servire a battezzare gli italiani con spregio, da diventare identità ed etichetta sprezzanti, resistono. Ma surclassati, superati dalla pizza: il cibo d'Italia oggi più presente in ogni continente; rimasto più intatto, meno elaborato o manipolato o condizionato da gusti locali; capace di evocare immediatamente con il suo solo nome, restato ovunque immutato senza alterazioni portate da altre lingue, il nostro Paese e la sua immagine.[14]
  • Un titolo antiquato e divertente, Monella. [...] Una debuttante, Anna Ammirati, molto ben fatta dalla gola all'inguine (invece la faccia è vivace ma comune, le gambe non sono belle, la statura è poca). Tinto Brass, 65 anni, ha una passione vera per il sedere femminile: ce l'hanno in tanti, ma lui è riuscito a sommare nei film erotici piacere e lavoro.[15]
  • Titanic è un grande spettacolo, un film possente, un affascinante melodramma che mette insieme amore e naufragio, la forza della passione e la fragilità della tecnologia: e che smentisce uno dei luoghi comuni a cui si era più affezionati, l'idea che i ricchi irresponsabili viaggiatori del Titanic continuassero sventatamente a ballare mentre tutto affondava intorno a loro, la nave insieme con l'orgoglio industriale e con una società classista arcaica.[16]
  • «La cena» sembra concentrare una sorta di sfinita mediocrità italiana, gente atona senza passioni, senza alcuna grandezza, senza orrore di se stessa. Non succede molto, nella trattoria simile ad altri luoghi chiusi dei film corali di Scola (la sala circolare di «Ballando ballando», l'oscuro appartamento de «La famiglia», il superattico de «La terrazza»), ai tavoli simili a quelli di tanti altri film centrati su un pranzo («Festen», «Camerieri», «Il pranzo di Babette»). Soltanto, a un certo punto tutti restano incantati da una musica alta e dolce d'arpa e di flauto: ma è un attimo, subito si riprende a sforchettare.[17]
  • [Su Matrix] Sequenza interessante: Keanu Reeves viene immobilizzato e gli viene infilato nella pancia (attraverso l'ombelico, parrebbe) una specie di scorpione che permetterà di seguire tutte le sue mosse. Immagine cruciale: campi infiniti di innumerevoli feti umani contenuti in sacchi di plastica trasparente, appesi a sostegni come piante d'uno sterminato frutteto, che respirano, sognano e vengono allevati per nutrire con la loro energia vitale le macchine padrone degli uomini. Le cose belle di «Matrix» sono queste: il resto è un pastrocchio pomposo e sentenzioso, pretensioso e misticheggiante, inzeppato di quei motti confusi e altisonanti che impressionano i ragazzini e gli autodidatti [...][18]
  • [Su Matrix] Effetti visivi innovativi, e grandiosi. Romanticismo nero. Invenzioni divertenti: i personaggi ricevono informazioni direttamente nel cervello, il futurismo elettronico si mescola alle arti marziali della tradizione orientale, che la lavorazione sia avvenuta a Sydney in Australia o altrove non ha importanza, tanto è sempre buio e i paesaggi urbani sono diapositive immensamente ingrandite.[18]
  • "Entrapment" è stupido, malcongegnato, divertente: e resta incantevole il personaggio che Sean Connery s'è inventato per la vecchiaia, calmo e onnisciente, protettivo e provvido, seducente e capace di tutto.[19]
  • Ci sono tre inconvenienti ne «Il 13º guerriero» di John McTiernan, ambientato alla fine del primo millennio. Innanzitutto, Antonio Banderas, poeta e diplomatico arabo, è sempre intabarrato di nero, con un panno nero in testa e con l'aria perennemente stupefatta di uno della raffinata Baghdad che si trovi per sua sventura arruolato insieme con dodici guerrieri vichinghi per portare a termine una missione sanguinosa. Non solo: tra i guerrieri vichinghi, tutti interpretati da attori alti almeno due metri, per la prima volta Banderas sembra pure piccolino. Secondo inconveniente: il film allinea molti scontri feroci, ma non l'incontro di due mondi, di due culture stellarmente remote: tra le nevi del Nord, gli sghignazzi, le bevute, le smargiassate, le mangiate, le risatacce e le brutalità dei vichinghi, l'arabo Banderas parrebbe uno smorfioso delicato se non risultasse il più intelligente di tutti. Terzo inconveniente: come molti film di fantasy, «Il 13º guerriero» è immerso in una costante oscurità o semioscurità, notturna oppure boschiva; il buio, insieme con i poco costosi attori scandinavi imposti dalla vicenda, consente naturalmente di spendere meno.[20]
  • [Su The Blair Witch Project] Grande successo, ricco marketing (cd, fumetto, libri), ma il risultato rimane senza qualità, senza spavento, dilettantesco.[21]
  • [Su Space Cowboys] Storia di senilità: degli uomini, della scienza militare, della moralità del grande Paese americano. In un film intelligente e toccante, Clint Eastwood mette a confronto quattro vecchi e bravi astronauti, mandati a casa nel 1958 quando la sperimentazione spaziale Usa da militare (Air Force) passò a un organismo civile (Nasa); l'industria americana spaziale, obsoleta, decadente e quasi inerte dopo i fasti del passato; la degradazione della politica e del patriottismo divenuti complottismo, carrierismo, rivalità, vendetta.[22]
  • «2001 – Odissea nello spazio» di Stanley Kubrick [...] è il film unico che ha segnato per sempre il cinema di fantascienza, condensandone e fissandone gli universi col suo stile imitato e inimitabile: il candore e la freddezza, la danza degli astri, la posizione del veicolo spaziale nell'oscurità sconfinata del sistema stellare, il modo di muoversi e la vita quotidiana degli astronauti, le porte autochiudentesi, i corridoi rotondi come l'anima di un enorme tubo bianco. L'iconografia fantascientifica non era mai stata così suggestiva e perfetta prima di «2001», né lo sarebbe mai più stata dopo.[23]
  • Wes Craven, gran maestro dello spavento, insieme con la sua compagna Marianne Maddalena ha prodotto senza troppo impegno «Dracula's Legacy» (L'eredità di Dracula), un horror di serie B per ragazzini, ambientato nelle città nere di Londra e di New Orleans, interpretato da giovani attori non famosi e non bravi, scritto ricalcando ogni luogo comune sul personaggio infinito e attribuendogli un amore per la figlia di Van Helsing, Mary, che abita in America a New Orleans, città dove nei film è sempre Martedì Grasso. Un elemento originale è la molta pubblicità palese per la Virgin (negozi, furgoni, dischi), così come in «Hannibal» figura pubblicità palese per Gucci e in «Cast Away» figura pubblicità palese per la Federal Express, la grande agenzia di recapiti americana: è una tendenza che rischi di dilatarsi, di moltiplicarsi.[24]
  • [Su Scoprendo Forrester] Da Jerome David Salinger a Thomas Pynchon, il vecchio scrittore solitario, separato dalla vita, misantropo, nevrotico, chiuso nella memoria e nel rimpianto, sprezzante del mondo, non è certo un personaggio raro nella storia della letteratura americana: ad esso vuol somigliare il protagonista di Scoprendo Forrester di Gus Van Sant, uno scrittore che dopo aver avuto gran successo e un premio Pulitzer con un romanzo, s'è rinserrato in se stesso e nel suo appartamento newyorkese all'attico.[25]
  • [Su Panic Room] Fra i tre interpreti, ben tre (Jodie Foster, Forest Whitaker e Dwight Yoakam) sono registi oltre che attori, e questo non rappresenta affatto un inconveniente rispetto alla riuscita del film: affascinante, forse meno impressionante e più hitchcockiano dei precedenti [film del regista], girato con grande stile.[26]
  • Gabriele Muccino non è per ora un autore, non sembra avere un proprio mondo di idee e di emozioni da esprimere. Ma è prensile rispetto alla realtà e abile a riprodurne i luoghi comuni; sa filmare in modo fluido e plastico da professionista americano; sa imprimere al film un ritmo veloce e vivace, una urgenza immotivata ma divertente. [...] È più di quanto offra la maggioranza dei giovani registi italiani.[27]
  • L'accanimento per vittorie insensate, la tristezza degli animi, la scenografia solenne e insieme familiare di Bologna, l'amarezza della sconfitta, il senso di fine, la bravura degli interpreti diretti benissimo: sono[28] elementi della qualità de «La rivincita di Natale».[29]
  • Gli elementi più forti e convincenti di «Evilenko» sono certo la grande vicenda torbida e feroce, l'interpretazione davvero magnifica di Malcolm McDowell.[30]
  • [Stephen Sommers] ha trasformato Van Helsing, l'anziano cacciatore di mostri ideato da Bram Stoker, in una specie di body guard giovane, robusto, ardito, cafone, superarmato. Ha fatto perdere ai mostri della narrativa ogni forza enigmatica, ogni impatto culturale: non più emblemi della morte, dell'eternità, della possibilità dell'uomo di creare la vita, della fusione uomo-bestia, della ricerca scientifica, del fascino del Male, del dolore e della pietà, i Mostri sono soltanto vecchi stereotipi, figurine d'infanzia scolorite, tipi risibili o almeno strani. Se passando dalla letteratura nera al cinema Dracula e gli altri erano diventati sotto-cultura, «Van Helsing» li porta a una sub-sottocultura, nella quale l'umorismo tempera sempre lo spavento e il marketing (DVD, giochi interattivi, live action e animazione per la televisione, attrazioni da parco a tema) è il vero scopo.[31]
  • [Su Van Helsing] Il film lussuoso, fragoroso, dinamico, è abbastanza divertente.[32]
  • Campione coraggioso, irriducibile, diventato un simbolo della lotta americana per uscire dalla crisi, Braddock è interpretato davvero bene da un Crowe dimagrito e affinato, con la faccia tonda divenuta triangolare. Cinderella Man è una prova molto interessante di epopea della miseria: l'unico personaggio insopportabile è il solito, la moglie del pugile sempre lagnosa e iettatrice, stavolta Renée Zellweger.[33]
  • [Su V per Vendetta] [...] esempio di film avventuroso-politico alla maniera della Primula Rossa, emozionante, libertario, divertente.[34]
  • [Su V per Vendetta] Il lungo film è ogni tanto un poco stanco ma è recitato benissimo (la voce italiana del protagonista Hugo Weaving è quella di Gabriele Lavia), è intelligente e appassionante.[34]
  • [Su Solo due ore] Bel film d'azione, «Solo due ore» di Richard Donner: ma l'elemento che colpisce di più è Bruce Willis che, dimagrito, malinconico, con i baffi e un poco di barba, somiglia in modo impressionante al giudice Borsellino. Invece è un detective della polizia di New York, malconcio e dal passato tutt'altro che inappuntabile.[35]
  • [Su Solo due ore] Drammaticamente ottimo, il film ha un'aria triste: quei poliziotti cinici e assassini, quel detective che dice «Non c'è niente che mi faccia sentir bene», quel delinquente nero stupido e coraggioso, quella città caotica e indifferente formano un mondo brutto molto interessante.[35]
  • [Su Fascisti su Marte] Il regista-protagonista, come sempre, è straordinariamente divertente: certi suoi sguardi loschi o traversi, certa sua imperiosità dittatoriale, certi suoi improvvisi smarrimenti, sono fantastici, almeno quanto la creatività e la comicità dell'ideazione.[36]
  • [Su Romanzo criminale] Ispirandosi al libro di Giancarlo De Cataldo pubblicato da Einaudi, per due ore e mezza il film corale analizza in chiave romantica i criminali, le loro imprese, la loro ascesa e caduta. Raccogliendo nel cast molti attori italiani soprattutto giovani e bravi (bravissimo Kim Rossi Stuart), Michele Placido ha realizzato un film con qualche difetto però molto interessante, forte, riuscito.[37]
  • Per la sua carica liberatoria, la sua assenza di moralismo, la sua struttura narrativa, il suo splendore figurativo, la sua linea antimetafisica, La dolce vita è nel cinema una rivoluzione. Sembrava che, dopo, non si potessero più fare i film consueti. Non è andata così: come càpita a tutti i maestri davvero grandi, il regista non ha allievi, non ha fatto scuola.[38]
  • La dolce vita risulterà alla fine simile a un viaggio con tante tappe del protagonista, un giornalista di mondanità e pettegolezzi in movimento nella cosiddetta café society, nel carnevale perenne che nasconde un vuoto drammatico.[38]

La stampa, 29 dicembre 1973

  • Andy Warhol ha cambiato assai due dei più celebri miti della letteratura e del cinema «neri»: il suo Frankenstein girato in tre dimensioni non crea un orrendo mostro ma una bellissima coppia, il suo Dracula ambientato negli Anni Trenta è sempre in frac e si porta dietro la bara sul tetto della Mercedes. [...] I due film non mostrano il minimo rispetto per i loro eroi.
  • Dracula ha cambiato status: ne I satanici riti di Dracula il regista Alan Gibson ne ha fatto un magnate misterioso, onnipotente e pauroso, un supercapitalista ossessionato dal timore delle malattie e dei rapimenti, «un personaggio alla Howard Hughes».
  • L'epopea del male non regge il confronto con la nera realtà contemporanea, i miti ottocenteschi si sfaldano di fronte ai nuovi riti di sangue. L'intervento di Andy Warhol può apparire il segno definitivo del tramonto di Frankenstein e Dracula: quando arriva Warhol il distruttore, estetizzante imbalsamatore del reale, geniale seppellitore di vitalità creativa, vuol proprio dire che tutto è finito.

La stampa, 22 gennaio 1993

  • [Su Dracula di Bram Stoker] Dopo il vampiro spaventevole, il vampiro patetico e il vampiro comico, ecco il vampiro innamorato.
  • Autoproclamantesi fedele al romanzo, il film trascura purtroppo le qualità domestiche del più aristocratico dei vampiri, che teneva in ordine senza servitori il suo tetro castello dei Carpazi. [...] Trascura il superbo snobismo che induce Dracula a rivendicarsi discendente di Attila e a disprezzare gli Asburgo o i Romanov come «schiuma della Terra». Trascura i folti baffi bianchi che il romanzo attribuisce a Dracula, e che il cinema ha sempre ignorato: l'unico a rispettare i baffi bianchi è un film turco del 1963, Drakula Instanbulda, dove naturalmente il vampiro arretra di fronte al Corano mentre rimane indifferente al crocefisso.
  • Coppola ha preso un simbolo delle forze del Male che riflette il sadismo inconscio di molti lettori e spettatori, ha scelto un'incarnazione della trasgressione e del totale rifiuto di sottomettersi alle leggi umane o divine, una grande mente criminale, e ne ha fatto un trepido innamorato sentimentale: come idea non è granché, né il film consente alcuna analogia contemporanea tra il contagio vampiresco attraverso il morso e il contagio dell'Aids attraverso il coito. Son discorsi anche sproporzionati: Coppola ha detto, dichiarato e ripetuto d'aver fatto il film su commissione, per ragioni alimentari, per pagare i suoi eterni debiti.

Note

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  1. Citato in Simone Veil donna di marmo, La Stampa, 15 luglio 1979.
  2. Da Quella donna piace, La Stampa, 3 dicembre 1981.
  3. a b Da Tutto Freud e spavento, La Stampa, 13 marzo 1993.
  4. Da Pacino, re di un pastrocchio che avvince, La Stampa, 27 febbraio 1993, p. 22.
  5. Da "Proposta indecente" di Lyne, con Redford truccato per ringiovanirlo e la bellissima Demi Moore, La Stampa, 8 maggio 1993, p. 19.
  6. Da Eroi immortali? No, resuscitati, La stampa, 18 luglio 1993, p. 21.
  7. Da Galeotto fu il ricevimento, La Stampa, 15 ottobre 1994, p. 22.
  8. Da Benigni mostro d'Italia, La Stampa, 28 ottobre 1994, p. 25.
  9. Da Mastroianni combatte. Come cambia Pereira, La Stampa, 8 aprile 1995, p. 18.
  10. Da La scuola di Luchetti-Starnone, La Stampa, 8 aprile 1995, p. 18.
  11. Da Argento padre e figlia con sindrome di Stendhal, La Stampa, 27 gennaio 1996.
  12. Da '96 al cinema, Dalai Editore, Milano, 1996, p. 149. ISBN 88-8089-187-1
  13. Da Orlando maschera esemplare, La Stampa, 24 dicembre 1997, p. 30.
  14. Da Pizza, in Giorgio Calcagno (a cura di), L'identità degli italiani, Editori Laterza, Roma-Bari, 1998, p. 176. ISBN 88-420-5656-1
  15. Da La Stampa, 1° febbraio 1998; citato in Monella - Rassegna stampa, mymovies.it.
  16. Da Titanic: il naufragar m'è dolce in questo mare, L'Espresso, 22 gennaio 1998.
  17. Da Scola, cena alla trattoria Italia, La Stampa, 1 dicembre 1998.
  18. a b Da Matrix. Il gioco della violenza, La Stampa, 7 maggio 1999, p. 31.
  19. Da «Entrapment»: ladri in fuga tra stupidità e divertimento, La Stampa, 15 maggio 1999, p. 30.
  20. Da Il poeta Banderas lotta con i vichinghi, La Stampa, 8 ottobre 1999, p. 32.
  21. Da La Stampa, 3 marzo 2000; citato in The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair, cinematografo.it.
  22. Da La Stampa, 29 settembre 2000; citato in Space Cowboys - Rassegna stampa, mymovies.it.
  23. Da Scienza, sacro e ignoto, La Stampa, 2 marzo 2001, p. 28.
  24. Da Un Dracula bello e giovane che non spaventa nessuno, La Stampa, 4 marzo 2001.
  25. Da Il vecchio Sean burbero scrittore, La Stampa, 23 marzo 2001, p. 29.
  26. Da Panic Room, Cinematografo.it, 19 aprile 2002.
  27. Da Muccino, il nostro americano, Tutto libri, 4 ottobre 2003.
  28. Il testo: «solo».
  29. Da Barare al gioco, così fan tutti, La Stampa, 30 gennaio 2004, p. 33.
  30. Da Stupefacente McDowell il comunista cannibale, La stampa, 16 aprile 2004.
  31. Da Tutti invitati alla festa del conte Dracula, La stampa, 7 maggio 2004.
  32. Da «Van Helsing e i mostri», La Stampa, 14 maggio 2004.
  33. Da La Stampa, 6 settembre 2005; citato in Cinderella Man - Una ragione per lottare, cinematografo.it.
  34. a b Da La vendetta senza fine del «distruttore positivo», La Stampa, 17 marzo 2006, p. 33.
  35. a b Da Bruce Willis nel marcio della Omicidi, La Stampa, 31 marzo 2006, p. 32.
  36. Da Quanto divertono quei fascisti, La Stampa, 3 novembre 2006, p. 31.
  37. Da Film della weekend drammatico «Romanzo criminale» , La Stampa, 3 novembre 2006, p. 31.
  38. a b Da I cinquant'anni de La dolce vita raccontati da Lietta Tornabuoni, Lastampa.it, 11 gennaio 2011.

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